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- 08-12-2025
- Alessia Seminara
- In Mindset
- 4 minuti
Decision making: i modelli psicologici e i bias che influenzano le nostre scelte
Tra le varie qualità apprezzate nel mondo del lavoro, abbiamo anche quella che viene definita decision-making. Si tratta della facoltà che consente di risolvere problemi complessi, riuscendo a scegliere l’opzione più efficace. Di solito, tra l’altro, questa scelta è ponderata e presa in piena coscienza, considerando tutte le possibili alternative.
Questa facoltà è molto apprezzata e ricercata nelle figure leader e non va assolutamente confusa con il semplice problem solving.
Indice dei contenuti
Cos’è il decision-making
Il decision-making, o capacità decisionale, si riferisce alla capacità di scegliere. Possiamo definirla come quella facoltà, che deriva da processi mentali, in grado di scegliere l’alternativa migliore tra le diverse possibili.
Le scelte provengono infatti da processi cognitivi che possono aiutarci a scegliere la soluzione più efficace passando in rassegna il problema. Fare la scelta giusta significa selezionare l’opzione che apporterà le problematiche migliori e che, al contempo, aiuti a raggiungere gli obiettivi.
Perché può essere definita come la qualità principale di un leader
Capiamo bene come, soprattutto in ambito lavorativo, soprattutto se la figura ha a che fare con compiti di responsabilità, buone capacità di decision-making potrebbero fare la differenza.
Possedere un processo decisionale efficace è fondamentale per la leadership. Un ottimo leader, infatti, sa rispondere al mercato odierno, che muta rapidamente. Ottime capacità di decision making consentono di rispondere adeguatamente ai cambiamenti, sia interni che esterni.
E, dato che ogni giorno un leader è chiamato a prendere un quantitativo enorme di decisioni, è necessario che sappia prenderle in maniera efficace.
Le fasi del processo decisionale
Quello del decision-making è un processo abbastanza complesso. Infatti, in ogni processo decisionale possiamo individuare sette diverse fasi che vanno dalla raccolta delle informazioni alla scelta finale.
Nella prima fase, quella preliminare, bisogna identificare la decisione da prendere. Bisogna cioè individuare il problema, ma anche gli obiettivi da raggiungere e gli eventuali esiti.
La seconda fase è quella in cui si raccolgono tutte le informazioni relative alla decisione che andrà presa. Si passa poi alla fase 3, durante la quale si cercherà di trovare una serie di soluzioni alternative, valutando più opzioni.
Nella fase 4, le varie soluzioni suggerite vengono valutate e bisognerà comprendere come potrebbero risolvere il problema. È possibile, in questa fase, ricorrere all’analisi SWOT, alle matrici decisionali o a un semplice elenco in cui si trascriveranno pro e contro.
Il passo successivo, la cosiddetta fase 5, previde la scelta tra le varie alternative. È anche possibile scegliere tra più alternative, mixandole in una soluzione unica, se opportuno. La sesta e penultima fase è quella dell’azione, dove la soluzione scelta viene implementata.
Il decision-making, a questo punto, non è un processo concluso: la fase 7, l’ultima del percorso, prevede l’analisi. Sarà cioè necessario monitorare i risultati per comprendere se la soluzione ha soddisfatto le aspettative (e risolto il problema) o no.
Differenza tra decision making e problem solving
Spesso, soprattutto nel linguaggio comune, decision making e problem solving vengono usati come sinonimi. Tuttavia, è bene sottolineare che si tratta di due concetti molto diversi fra loro.
Il problem solving, infatti, si riferisce soprattutto alla capacità di identificare il problema. Il decision-making, invece, comprende anche la fase di individuazione della soluzione migliore. Entrambe le qualità, comunque, sono altamente ricercate in un leader.
I modelli decisionali secondo la psicologia
La psicologia, infine, ha individuato diversi tipi di modelli decisionali che aiutano a prendere decisioni corrette. Nel decision-making distinguiamo:
- modelli psicologici razionali, che sono logici e sequenziali. Si tratta del tipo di modello più adatto da usare quando le conseguenze delle scelte potrebbero essere importanti. Questi modelli si basano sulla valutazione di molti punti di vista, per essere certi di fare la scelta migliore;
- modelli intuitivi, che non prevedono l’uso di dati, ma dell’istinto. In questa tipologia di modello contano molto le esperienze pregresse, che permettono di sviluppare schemi da usare per le scelte successive. Si può adottare un modello del genere quando si è chiamati a compiere scelte per problemi simili a quelli già affrontati in passato;
- modello creativo, che per certi versi è simili a quello razionale, perché si parte dalla raccolta di informazioni. Tuttavia, in questo caso, dopo la fase iniziale si lascia spazio al subconscio per la scelta giusta. Quando è possibile testare soluzioni e adattarle nel tempo, questo modello è ottimo da utilizzare, perché consente di giungere a conclusioni alternative.
Decision-making e bias cognitivi
Quando parliamo di processi decisionali, in ogni caso, non bisogna dimenticare i cosiddetti bias cognitivi. Nel lungo percorso fatto di step, di cui si compone il decision-making, infatti, ci sono diverse variabili, quali lo stress, il contesto, le convinzioni personali e le emozioni, che potrebbero influire sulla decisione finale.
La nostra mente, come anticipavamo, deve inoltre misurarsi con i bias cognitivi, ossia modelli di pensiero appresi nel tempo, ma che si fondano su pregiudizi e, talvolta, su percezioni errate.
Il problema dei bias è che li usiamo spesso e inconsapevolmente per prendere decisioni rapide e, soprattutto, senza affaticarci cognitivamente. Infatti, i bias operano al di sotto della soglia di consapevolezza. Non ci accorgiamo di utilizzarli, e questo li rende ancora più pericolosi, soprattutto quando si parla di decision-making.
Questi errori sistematici del pensiero possono portarci a scegliere in base alle emozioni, alle abitudini o alle convinzioni pregresse, piuttosto che valutando dati oggettivi.
Infatti, ogni volta che affrontiamo un processo decisionale, il cervello tende a cercare scorciatoie mentali, chiamate euristiche, per risparmiare tempo. Queste scorciatoie, però, non sempre portano alla scelta migliore.
Ad esempio, il bias di conferma ci spinge a cercare solo le informazioni che rafforzano ciò che già crediamo, mentre il bias dell’ancoraggio ci fa dare troppo peso alla prima informazione ricevuta, anche se irrilevante. Altri, come l’effetto gregge o l’avversione alla perdita, ci spingono a seguire la massa o a evitare rischi anche quando sarebbero giustificati.
Tutto ciò riduce la qualità delle decisioni.
Come evitare i bias cognitivi nel processo decisionale
Per fortuna, i bias nel decision-making possono essere evitati. Il primo passo è sviluppare consapevolezza, riconoscendo cioè che la nostra mente non è sempre razionale. Anche rallentare il processo decisionale prendendo tempo e valutando al meglio le varie alternative è d’aiuto. Allo stesso modo, basare le decisioni solo su dati verificabili anziché su percezioni soggettive può ridurre gli errori.
Infine, discutere le scelte in gruppo, magari con il team se si parla di un contesto lavorativo, può aiutare a evidenziare errori che la nostra mente non aveva notato.
Alessia Seminara
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