I passi del Metodo Scientifico Sperimentale: come condurre un esperimento
La nascita del metodo scientifico sperimentale come lo conosciamo risale alla fine del XVI secolo. Per la precisione fu il fisico italiano Galileo Galilei a sancire la necessità di svolgere esperimenti per ricavare dai risultati osservati le leggi della Scienza.
Questo aspetto, che oggi può sembrarci ovvio, costituì un punto di rottura con la tradizione, che non vedeva la necessità di verificare le teorie. Molti studiosi dell’epoca consideravano ancora lo scienziato come una figura molto simile a quella del filosofo, che tende a elucubrare in astratto. Tutte le riflessioni sulla natura partivano usando come base i testi del filosofo greco Aristotele, assunti come veri e non confutabili. L’idea di ricavare le leggi che regolano la natura partendo dall’esperienza diretta fu un’innovazione profonda, che richiese tempo per essere accettata.
In tutto il metodo si articola in sei fasi, che vedremo di seguito.
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Il metodo scientifico sperimentale: partire dall’osservazione
La prima fase del procedimento adottato da Galileo nel suo lavoro richiede semplicemente di guardare con occhio critico il mondo che ci circonda. Si parla infatti di osservare, riflettere su ciò che si può vedere, come i fenomeni atmosferici o il comportamento di un animale. Per alcune situazioni è sufficiente guardare a occhio nudo, ma in altre possono già tornare utili degli strumenti.
Pensiamo al telescopio per distinguere i corpi celesti, come fece lo stesso Galileo, o al microscopio per esaminare le cellule. Un’osservazione funzionale non richiede solo l’attenzione di chi la effettua, ma c’è bisogno che sia prolungata o ripetuta. Più volte si guarda lo stesso fenomeno, più si avrà un quadro più preciso della sua dinamica .
Si può parlare anche di numerosità campionaria, perché se ci si basa su poche osservazioni c’è il rischio di non notare alcune sfaccettature del fenomeno. In questa fase è bene prendere nota di quanto si osserva, sotto forma di report o di raccolta di dati numerici quando il fenomeno è misurabile. Questo facilita il passaggio alla seconda fase, che è quella che più somiglia alla vecchia elucubrazione.
Fase del dubbio e delle domande
Il secondo passo del metodo scientifico sperimentale richiede di avere curiosità verso ciò che si osserva. Per esempio “Come mai si generano i fulmini?” dopo aver assistito a un temporale o “Perché ci sono le maree?” quando si è seduti in riva al mare.
Una volta che un dubbio prende forma il compito dello scienziato è mettersi al lavoro per trovare una risposta. Lo stesso vale quando una legge scientifica che spiega un fenomeno esiste già ma sembra presentare dei punti di debolezza.
A uno sguardo attento questa risulta la fase più importante, perché avere dei dubbi consente di correggersi. Dopotutto molti scienziati possono ritornare sulle proprie scoperte spinti dal timore di aver trascurato qualcosa.
Grazie al dubbio la Scienza avanza, invece di restare cristallizzata.
Formulare una prima spiegazione
Ogni domanda vuole una risposta, quindi la fase successiva del metodo scientifico sperimentale è provare a darla tramite un’ipotesi. Questo termine deriva dal greco ὑπόθεσις, composta dalle parole ὑπό (sotto) e θεσις (posizione), perché indica una premessa a cui segue un ragionamento.
In ambito scientifico indica una possibile spiegazione, formulata però solo a livello teorico. Quando si costruisce un’ipotesi si può agire in due modi, tramite ragionamento induttivo o per deduzione.
Nel primo caso si parte da un caso particolare per formulare una legge generale, non limitata all’ambito di osservazione. Per esempio se osservo una palla che cade nel vuoto se lanciata da una torre possono supporre che tutti gli oggetti seguano questo comportamento. Se invece parte dall’ambito generale per spiegare la natura di un fenomeno specifico si sta ragionando in modo deduttivo.
Un esempio sono i sillogismi aristotelici, anche se spesso tendono a risultare argomentazioni deboli. Per esempio partendo dal fatto che tutti i corvi sono neri, se vedo un uccello nero allora è un corvo.
La fase pratica del metodo scientifico sperimentale
Una volta stesa l’ipotesi è ora di sperimentare nel pratico, tenendo conto che un esperimento ben condotto non è un’attività che si improvvisa. Bisogna porsi nelle condizioni in cui le perturbazioni esterne risultino minime, in modo che non rischino di alterare i risultati.
Quando se ne progetta uno si cerca di riprodurre o emulare un fenomeno naturale in modo che risulti osservabile e misurabile. Per essere attendibile un esperimento deve poter essere ripetuto (replicabile) perché altri possano farne esperienza.
Secondo la sperimentazione di Galileo infatti un solo esperimento discordante con l’ipotesi da verificare non è sufficiente a confutarla.
Quando se ne svolge uno bisogna tenere conto dei possibili errori, a partire da quelli umani che potrebbe commettere lo scienziato o il tecnico di turno. Il metodo scientifico sperimentale stabilisce tre condizioni fondamentali per un esperimento ben progettato. La prima è avere chiaro l’obiettivo da perseguire, la seconda è stabilire le variabili da misurare e il terzo è la modalità con cui raccogliere i dati. In molti esperimenti, come quelli di ambito medico, bisogna prevedere anche un gruppo di controllo per verificare l’attendibilità dei dati. Di solito ai pazienti di questo gruppo si somministra un placebo, ossia un farmaco fasullo.
Analisi dei risultati
Una volta che la serie di esperimenti o l’esperimento è giunto al termine lo scienziato ottiene dei dati su cui svolgere le dovute indagini. A questo punto bisogna utilizzare la Statistica e scegliere il test più funzionale per capire se l’ipotesi di partenza risulti sostenuta o confutata.
Per esempio se lo scopo è valutare l’efficacia di un farmaco su un gruppo di pazienti si frutta il Test t di student. Quando invece si hanno più gruppi distinti si opta per il test ANOVA (Analysis of Variance).
Attraverso le analisi statistiche si possono dichiarare i risultati significativi (a supporto dell’ipotesi) o non significativi. L’attendibilità dell’esperimento dipende anche dal numero di campioni esaminati, che se esiguo può risultare non rappresentativo, e se troppo esteso fuorviante.
Trarre le conclusioni
Una volta terminati i test statistici si ha modo di stabilire se la propria teoria sia o meno supportata dai dati.
Se gli esperimenti la sostengono è il caso di approfondire svolgendone altri, in modo da rendere più solide le basi su cui si fonda. Qualora invece i dati sembrino smentirla si può provare a formulare una nuova ipotesi, sempre partendo dai risultati sperimentali.