Posizionamento competitivo: dalla teoria dei giochi alla pratica
Per riuscire a far fronte alla concorrenza le imprese ricorrono al posizionamento competitivo. Si tratta di un’analisi di mercato che punta a scoprire sia i punti di forza dell’impresa che i suoi eventuali gap rispetto ai competitor principali. Per migliorare la propria posizione a un’azienda serve quindi una strategia e il modo migliore per approntarla è partire dalla famosa Teoria dei Giochi (TDC).
Definita dal matematico John Von Neumann, si tratta di un modello matematico che studia situazioni in cui più “giocatori” concorrono per ottenere qualcosa. La teoria assume che ogni partecipante al gioco punti a vincere e che ogni sua decisione abbia delle conseguenze. In base allo scenario il modello matematico elabora i possibili scenari a seconda anche che si giochi in modo cooperativo o no.
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Il posizionamento competitivo come gioco
La teoria dei giochi ha applicazioni molto varie cha spaziano dall’economia alle attività ludiche come gli scacchi o il monopoli e anche al settore militare.
L’importante è comprendere che quando si parla di “gioco” si intende un contesto di decisioni interdipendenti. Per esempio si può considerare una condizione di un duopolio alla Cournot, che esisteva già prima che si definisse la teoria.
Si tratta di uno scenario in cui due imprese che operano nello stesso settore devono considerare le decisioni del rivale per stabilire livello di produzione e prezzo. Non possono agire senza tenere conto di cosa fa il competitor e quindi entrambe dovranno elaborare una strategia. Si tratta forse del caso più semplice di posizionamento competitivo che si possa trovare.
C’è anche da definire cosa si intende con gioco cooperativo e non cooperativo. Nel primo caso i concorrenti hanno la possibilità di raggiungere degli accordi che li vincolino a determinate regole, mentre nel secondo non è possibile. Per ipotesi tutti i giocatori sono egoisti e mirano a raggiungere il risultato migliore possibile, non a spartire l’eventuale vincita.
Si distingue anche fra somma costante o variabile a seconda del fatto che i guadagni per i giocatori cambino a seconda dei vari esiti.
Applicando la teoria bisogna anche considerare il principio del minimax-maximin. Ovvero chi gioca cerca sempre di proteggersi da quello che potrebbero fare i concorrenti, massimizzando i guadagni e cercando di limitare più che può l’eventuale perdita.
Il modello offerto da Colonel Blotto
Nei contesti competitivi uno schema molto studiato sia nel business che nello sport è quello realizzato dal matematico Emile Borel. Usandolo si possono capire le dinamiche del posizionamento competitivo per le aziende giovani.
Si chiama “Colonel Blotto” e si svolge fra due giocatori che partono con lo stesso numero di soldati e un numero definito di campi di battaglia in cui posizionarli.
Le scelte avvengono senza conoscere le decisioni prese dal rivale. Una volta che si è finito si scoprono le formazioni sui campi di battaglia e per logica chi ha più soldati trionfa sul campo. Chi ottiene la vittoria su più campi vince la partita. In questo primo scenario non si può dire che ci siano favoriti perché entrambi i giocatori partono con le stesse condizioni e al buio, senza poter spiare le mosse dell’altro.
Se però si sbilancia il gioco da un lato dando il 25% dei soldati in più a un giocatore si creano un favorito e un outsider, che ha meno risorse a disposizione. Aumentando il numero di campi però la situazione si complica ulteriormente e chi risulta sfavorito aumenta le proprie possibilità di vittoria. Concentrando le proprie risorse su pochi campi ha la possibilità di cogliere di sorpresa il favorito del gioco.
Da questo si evince che dove ci sia come un’azienda consolidata, il posizionamento competitivo di un outsider o meglio una startup avrà bisogno di “complicare” lo scenario. Per chi è ben avviato sul mercato la strategia punterà a mantenere la posizione raggiunta mentre a chi vi entra per la prima volta serve una strategia articolata. Copiare quella dei competitor porterebbe a risultati molto magri.
Posizionamento competitivo e la disruptive innovation
Per variare il terreno di gioco nel campo del business esiste una strategia ben precisa per riuscire a renderlo più articolato. Nel pratico aggiungere campi da gioco significa creare un nuovo mercato, in grado anche di annientarne altri di già consolidati e noti. Basta pensare alla rivoluzione che portò la prima auto prodotta dalla Ford introducendo un sistema di mobilità del tutto diverso.
Dare il via a una strategia di tipo disruptive per il posizionamento competitivo è facile per una startup per diverse ragioni. Il primo è che può permettersi di rischiare lanciando un prodotto o un servizio innovativo, non avendo ancora una fama o un nome da difendere ma solo da costruire. In più di solito impiegano poche persone e la loro struttura è facile da organizzare.
Non tutti i tentativi di strategia disruptive hanno successo, quindi bisogna tenere conto che non è un sistema infallibile. Le occasioni però esistono, in particolare nei settori di nicchia che hanno del potenziale. Le grandi aziende tendono a evitarle e per questo una nuova impresa può avere campo libero nell’esplorazione di un nuovo business. La difficoltà per le startup rimane la disponibilità di risorse.
Per le big company conviene la sustaining innovation
Se una startup punta su un posizionamento competitivo diventando pioniere di un nuovo settore, per le aziende affermate il discorso cambia. Nel loro caso cercare di esplorare una nuova nicchia può rivelarsi un investimento rischioso. La giusta strategia invece è quella di innovare a livello dei prodotti e dei servizi di maggior successo sul mercato, che già sono una sicurezza.
In questo caso si parla di sustaining innovation, ovvero aumentare le risorse nei campi in cui si è già favoriti invece di disperderle all’interno di altri progetti. Il principio che si segue è di creare prodotti migliori per la propria clientela fidelizzata. Al contrario di quanto possa sembrare questa strategia per il posizionamento competitivo è più complessa della disruptive innovation.
La sustaining innovation fa infatti applicata senza compromettere eventuali modifiche future limitando un prodotto al suo tempo. Scegliere questa strada rende le aziende resilienti rispetto alle strategie dei competitor, un aspetto che le startup non hanno al loro ingresso sul mercato.