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- 14-11-2025
- Sara Elia
- In Mindset
- 5 minuti
Self-compassion: rivolgersi a sé stessi con comprensione
In un mondo che esalta la performance e la perfezione, la self-compassion rappresenta una rivoluzione silenziosa ma profonda. Questo approccio psicologico, studiato e diffuso dalla ricercatrice Kristin Neff, invita a trattare sé stessi con la stessa gentilezza, empatia e comprensione che riserveremmo a una persona cara in difficoltà.
A differenza dell’autostima — spesso legata al successo o al giudizio esterno — la self-compassion aiuta a costruire una relazione sana e stabile con sé stessi, anche nei momenti di errore, fragilità o fallimento. Numerosi studi di psicologia positiva e neuroscienze dimostrano che praticare l’autocompassione riduce ansia, stress, vergogna e autocritica eccessiva, favorendo invece resilienza, equilibrio emotivo e benessere duraturo.
Coltivare la self-compassion non significa “giustificarsi” o essere indulgenti in modo passivo: vuol dire riconoscere il proprio valore intrinseco, accettare i limiti e imparare a rispondere alle difficoltà con equilibrio e gentilezza consapevole.
Scopriamo insieme che cos’è la self-compassion, quali sono le sue componenti fondamentali e come può trasformare il modo in cui ci relazioniamo con noi stessi e con il mondo.
Indice dei contenuti
Che cos’è la self-compassion
La self-compassion è una pratica che permette di sviluppare gentilezza, comprensione e cura verso sé stessi, superando atteggiamenti di autocritica o giudizio severo verso sé stessi. Solo in questo modo, infatti, è possibile raggiungere il benessere emotivo e la resilienza nelle difficoltà.Tale concetto, che ha origine nel latino cum patiri (“soffrire insieme”) è stato introdotto per la prima volta da Kristin Neff nel 2003. Da allora, è diventato centrale nelle psicoterapie di terza generazione, come l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e altre terapie basate sulla mindfulness.
Nello specifico, la self-compassion implica:
- accettare le proprie emozioni:
- accogliere le proprie fragilità;
- riconoscere la sofferenza;
- rispondere con un atteggiamento amorevole e di cura;
- sviluppare una relazione più sana con sé stessi.
Ad oggi, quest’approccio si rivela particolarmente utile per contrastare l’autocritica e le abitudini mentali punitive. Molte persone, infatti, valutano sé stesse esclusivamente sulla base dei propri successi o del giudizio altrui, aspetti che generano ansia, stress e senso di inadeguatezza.
Al contrario, occorre riconoscere che la sofferenza fa parte della condizione umana, che tutti affrontano difficoltà e che è possibile prendersi cura di sé senza per questo sentirsi deboli o sbagliati. Attraverso questa prospettiva, infatti, gli errori e i momenti complicati diventano occasioni per accrescere resilienza e consapevolezza di sé.
Self-compassion: principali approcci terapeutici
Ad oggi, gli approcci terapeutici più diffusi per sviluppare la self-compassion sono:- Compassion Focused Therapy (CFT) di Paul Gilbert: permette di sviluppare sensibilità verso la sofferenza, propria e altrui. Molte persone, infatti, sperimentino un profondo senso di colpa e autocritica, spesso causate da esperienze di trascuratezza ed abuso nel passato. In quest’ottica, la CFT mira a creare un atteggiamento di cura e comprensione verso le proprie fragilità, eliminando giudizi e sentimenti di vergogna. Per agire a livello pratico, viene stimolato il sistema nervoso parasimpatico, che favorisce calma, sicurezza e una maggiore capacità di accettarsi e vengono implementati esercizi specifici in grado di alleviare la sofferenza;
- Mindful Self-Compassion (MSC) di Kristin Neff e Christopher Germer: propone un percorso incentrato sulla consapevolezza senza giudizio sulle proprie emozioni e pensieri attraverso tre componenti quali gentilezza verso sé stessi, riconoscimento dell’umanità condivisa e mindfulness. Le tecniche si basano su esercizi meditativi, visualizzazioni e pratiche esperienziali che aiutano a sviluppare un dialogo interno accogliente e un senso di connessione con gli altri che riduce la solitudine.
Le tre componenti della self-compassion secondo Kristin Neff
Secondo Kristin Neff, professoressa di psicologia presso l’Università del Texas e pioniera negli studi sulla self-compassion, questa pratica si fonda su tre pilastri principali che, se integrati, permettono di sviluppare un rapporto più equilibrato e gentile con sé stessi.
Ogni componente lavora in sinergia con le altre, generando una forma di resilienza emotiva profonda capace di trasformare il modo in cui affrontiamo gli errori, il dolore e l’autocritica.
1. Auto-gentilezza (Self-kindness)
Il primo passo della self-compassion è imparare a parlarsi con gentilezza, anziché con durezza o giudizio. Significa sostituire il linguaggio interiore autocritico (“non sono abbastanza”, “ho sbagliato tutto”) con parole di comprensione e sostegno (“sto attraversando un momento difficile, ma posso affrontarlo”).
Essere gentili con sé stessi non vuol dire negare la responsabilità delle proprie azioni, ma riconoscere che l’errore fa parte del percorso umano. La self-kindness aiuta a interrompere il ciclo dell’autopunizione e a coltivare una voce interiore incoraggiante, fonte di calma e fiducia.
2. Umanità condivisa (Common humanity)
La seconda componente della self-compassion riguarda la consapevolezza che la sofferenza è un’esperienza universale. Quando viviamo un fallimento o un dolore, tendiamo a sentirci soli o “diversi” dagli altri; ma ricordare che la fragilità accomuna tutti gli esseri umani ci aiuta a ridimensionare la prospettiva.
Questo senso di connessione empatica con l’umanità riduce l’isolamento e promuove un atteggiamento più realistico verso la vita. Come sottolinea Neff, “la compassione non è debolezza, ma la capacità di riconoscere la nostra comune vulnerabilità come fonte di forza e connessione”.
3. Mindfulness (Consapevolezza presente)
Il terzo pilastro è la mindfulness, cioè la capacità di osservare pensieri ed emozioni senza giudizio e senza esserne travolti. La consapevolezza del momento presente consente di riconoscere la sofferenza quando emerge, senza reprimerla né amplificarla.
In pratica, la mindfulness crea uno spazio mentale di equilibrio: non si nega il dolore, ma lo si accoglie come un’esperienza temporanea, parte integrante della crescita personale. In questo modo, la self-compassion diventa una risposta consapevole e amorevole alla difficoltà, e non una reazione automatica di fuga o autocolpevolizzazione.
Applicazioni pratiche
Ad oggi nella società attuale, il successo personale è spesso misurato in termini di status, performance e risultati tangibili. Quest’aspetto genera livelli elevati di stress che si possono manifestare attraverso sintomi quali difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, rimuginio costante su eventi passati e così via.Imparare a riconoscere questi segnali è il primo passo per ristabilire un equilibrio emotivo. Per coltivare la self-compassion a livello quotidiano quindi necessario implementare alcune strategie pratiche. Tra queste:
- imparare a rivolgersi a sé stessi come si farebbe con un amico in difficoltà permette di affrontare momenti dolorosi senza ricorrere all’autocritica ed attivare naturalmente atteggiamenti di gentilezza verso sé stessi, spesso trascurati.
- implementare pratiche meditative per osservare pensieri ed emozioni senza giudizio e visualizzare spazi mentali sicuri ed accoglienti. In questo modo, è possibile riconoscere i propri punti di forza e debolezze, valorizzando l’impegno e la capacità di affrontare difficoltà tramite una risposta motivante e costruttiva alle sfide quotidiane;
- scrivere un diario di autocompassione dove annotare le difficoltà incontrate con accanto a ciascuna una frase gentile e comprensiva verso sé stessi. Ad esempio: “Oggi mi sono sentito sopraffatto, ma sto facendo del mio meglio”. Questo esercizio aiuta a trasformare l’autocritica in un dialogo interno più amorevole.
È un approccio che unisce empatia, presenza e realismo psicologico, capace di migliorare la qualità della vita e le relazioni con gli altri.
Vantaggi principali
Come abbiamo visto finora, la self-compassion è uno strumento potente per gestire lo stress quotidiano e le emozioni difficili.I benefici concreti sono innumerevoli. A livello generale, i sentimenti positivi derivanti dall’autocompassione nascono dall’atto di prendersi cura di sé, vulnerabili e imperfetti com’è naturale essere. Questo approccio riduce il perfezionismo e l’eccessiva autocritica, promuovendo una visione più realistica e gentile di sé.
In particolare, essa permette di:
- ridurre ansia e stress;
- migliorare l’umore e il benessere emotivo;
- supportare l’adozione di abitudini salutari;
- accettare l’imperfezione come parte integrante dell’esperienza umana;
- favorire relazioni interpersonali più soddisfacenti;
- osservare i propri pensieri ed emozioni senza giudizio;
- promuovere la resilienza e un equilibrio psicologico duraturo;
- permettere di vivere le avversità senza eccessiva autocritica;
- coltivare gratitudine verso le proprie qualità;
- affrontare meglio le sfide emotive, sviluppando un senso di autenticità;
- facilitare il processo di accettazione di sé e dei propri limiti senza rinunciare a crescere.
Sara Elia
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